Dipendenza affettiva

L’innamoramento, con i suoi momenti magici, sembra un incanto destinato a non finire mai, un’estasi infinita in cui cullarsi beati. E nel momento in cui le cose cambiano e la persona amata non è più così perfetta, noi ci troviamo improvvisamente disorientati ed iniziamo a chiederci dov’è finito l’incantesimo dei primi giorni.
Questo accade perché, passato il periodo iniziale in cui ciascun amante mette in mostra le sue parti migliori, entrano in gioco gli schemi ed i meccanismi appresi attraverso l’esempio della propria famiglia, altamente deleteri per le relazioni affettive e per una vita felice. Esistono molti di questi modelli appresi nei primi anni di vita, ma in questa sede parleremo principalmente di quelli inerenti alla dipendenza affettiva visti secondo la Metamedicina di Claudia Rainville.
La persona dipendente affettivamente (che d’ora in poi chiameremo dipendente) ha un grande bisogno di approvazione: è disposta a tutto, proprio a tutto, pur di non essere abbandonata, tradita, messa da parte. E questo avviene non solo con il proprio partner ma anche con i figli, con gli amici e talvolta anche con il terapeuta.

Il dipendente può essere terrorizzato dal perdere chi ama, può parlarne di continuo, può pensare solo a quello, e può anche colpevolizzarsi pesantemente per tutto quello che succede nella relazione a due. Molto spesso crede che per essere amato deve essere perfetto, deve essere una moglie o un marito impeccabile, deve essere un genitore o una casalinga insostituibile, senza permettersi mai di sbagliare.
Chi vive questa ferita solitamente non ha molto rispetto per sé stesso in quanto è intimamente convinto che non troverà mai un’altra persona che lo amerà per quello che è; di conseguenza questo gli fa accettare ogni sorta di sfruttamento o maltrattamento, anche fisico. E purtroppo più viene ferito, più si aggrappa a chi ama.
Moltissime persone vengono maltrattate, umiliate o picchiate, ma non si sognano minimamente di lasciare la persona responsabile di tutto ciò, dando (senza rendersene conto) l’autorizzazione a ricevere altri maltrattamenti. Le persone dipendenti preferiscono infatti subire e pagare un prezzo molto alto piuttosto che rivivere la solitudine: non è la paura del non sapere dove andare che le blocca, ma la paura, il terrore di sentirsi nuovamente abbandonate.
Un altro modo per manifestare questa ferita consiste nel rendere dipendente la persona amata, prendendosi carico della sue responsabilità, facendo il lavoro per lui, pagandogli le spese, suggerendogli cosa fare, arrivando a proporgli di lasciare il lavoro per provvedere personalmente al suo mantenimento. In questo modo la persona amata diventa più debole, e difficilmente penserà di rompere il rapporto.

Ma funziona anche all’opposto: la persona dipendente loda e valorizza chi ama, le fa capire di essere unica, meravigliosa, arrivando anche a ricoprirla di regali, per far sì che non possa pensare di lasciare chi la sostiene così meravigliosamente. In questo caso è molto più difficile riconoscere la propria dipendenza, a maggior ragione quando ci si ripete di continuo di essere indipendenti e capaci di stare anche da soli, quasi a volersene convincere.
Vediamo ora assieme qual è il percorso che ci porta a diventare dipendenti affettivamente. Tutti i bambini sono dipendenti dai loro genitori, ed è giusto sia così; non a caso siamo gli “animali” che necessitano di maggior cure parentali. Ma con il passare degli anni tutto questo dovrebbe cessare gradualmente, per permettere al bambino di crescere autonomamente per diventare un adulto responsabile e maturo affettivamente. Ma questo avviene solo se i bisogni del bambino sono stati soddisfatti: bisogni affettivi, materiali, di sostegno o di difesa.
Quando un bambino dice, ad esempio, che non vuole andare a scuola, gli si risponde che la scuola è necessaria, che non può farne a meno, senza rispondere in realtà al bisogno inespresso dal bambino, e cioè che non sta bene, che sta vivendo un disagio. Magari a scuola lo prendono in giro, o forse è tanto stanco, oppure pensa di non essere amato. Allo stesso modo se un bambino piange, lo si consola con un dolcetto oppure gli si dice che ormai è grande o che è un maschietto: questo anziché ascoltarlo ed accoglierlo nel suo dolore.
E fin da piccoli si riceve un imprinting molto forte che è: SE MI ESPRIMO E SONO ME’ STESSO = NON VENGO AMATO / ACCETTATO.

Ci sono anche altri modi per diventare dipendenti: uno di questi è l’eccessiva responsabilità. Se un bambino deve accudire dei fratelli più piccoli (oppure malati), in lui cresce il bisogno di ricevere cure ed attenzioni alla pari degli altri: in pratica si sente abbandonato a sé stesso. Ci sono anche persone che si sono sentite abbandonate perché i loro genitori erano sempre assenti e il loro accudimento era affidato a nonni o babysitter, oppure perché sono state poste all’asilo nido a pochi mesi di vita e cioè nel momento in cui erano vitali le cure materne.
Analogamente può succedere che un genitore picchi un bambino senza che nessuno alzi una mano per difenderlo; in questo caso il bambino si sentirà senza protezione, indifeso, abbandonato a sè stesso nella sua fragilità. E’ importante capire che non è necessario aver vissuto un abbandono vero e proprio; l’importante è che ci sia stata la sensazione di essere stati abbandonati.
Ma noi, in tutto questo dolore, cosa possiamo fare per ritrovare la luce del sole?
Il primo passo è certamente rendersi conto di essere dipendenti da qualcuno, cosa che per molti non è facile. Il secondo passo è quello di andare ad accudire la nostra parte ferita, abbandonata, che non ha avuto modo di maturare affettivamente: questo è possibile con l’aiuto dei nostri genitori interiori, corrispondenti alla nostra parte maschile e femminile.

Un esercizio molto efficace che ho ricevuto dalla Metamedicina, consiste nel visualizzarci da adulti mentre andiamo ad accogliere noi stessi da bambini nel momento in cui ci siamo sentiti abbandonati: è un esercizio emotivo molto toccante, che talvolta può essere difficile eseguire da soli. Diventa importante promettere al nostro piccolo che noi per primi non lo abbandoneremo più, che lo ascolteremo quando cercherà di farsi notare con l’unico modo a sua disposizione, facendoci cioè provare rabbia, insofferenza, depressione, tristezza e così via. E quando ciò succederà, quando vivremo un disagio di qualunque tipo, sarà molto importante fermarsi, ascoltare il bisogno interiore del nostro bambino e soddisfarlo, dicendogli semplicemente che lo amiamo, che siamo accanto a lui, e che qualunque cosa succeda noi ci saremo. Questo è un primo piccolo passo, ma può portare a grandi risultati se praticato con continuità. Buona vita.

Apparso su Bioguida – dicembre 2013

Pubblicato da Susanna

Naturopata, Consulente ed animatrice di Metamedicina, aromatologa, floriterapeuta, numerologa, scrittrice.

4 Risposte a “Dipendenza affettiva”

  1. Grazie per aver trattato questo argomento che credo proprio faccia al mio caso. A tal proposito, sapresti consigliarmi il fiore o la miscela di Fiori Australiani che potrebbero essermi di co-aiuto in questo viaggio così tortuoso?
    Ti ringrazio e ti auguro ogni bene.
    Santina

    1. Ciao Santina. Così di primo acchito ho pensato a Monga Waratah e a Red Grevillea, senza dimenticare i fiori di Bach Chicory, Centaury, Heather e Red Chestnut. Aggiungendoci sempre un fiore per lo shock, come Sturt deser pea per gli australiani o Star of Bethlehem per i fiori di Bach. Buon cammino.

  2. Questo argomento è veramente bello e toccante, e complimenti per la spiegazione di come ci si può sentire fino ad arrivare ad una soluzione pratica anche se non facile per molti ma perlomeno si ha un punto da dove ripartire, a partire da se stessi sempre. Grazie 🖤

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