Tempo di risveglio spirituale (e Metamedicina)

Ovvero la parabola del pesce e del figliol prodigo

La primavera porta sempre con sé una gran voglia di risvegliarsi e di ricominciare a vivere: la natura si risveglia, il nostro corpo, la nostra sessualità, manca solo un risveglio più profondo, vibrante, come potrebbe essere quello spirituale. Ma cos’è un “risveglio spirituale”? Bisogna pregare, meditare, frequentare le funzioni religiose oppure un buon seminario? O bisogna essere più comprensivi, compassionevoli, altruisti?
Forse, per risvegliarsi è necessario innanzitutto prendere coscienza che si sta dormendo.

Vi è un bellissimo racconto di Osho, in cui si narra di un pesce che, uscito dal mare e steso sulla spiaggia sotto il sole rovente, si rende conto per la prima volta di quanto stava bene nell’acqua. E, nel momento stesso in cui il pesce riesce a ritornare nel mare, ama quel mare, lo vive, ci sguazza dentro come non mai, perché finalmente ha capito quanto è importante per lui.
Questa storia può richiamare la ben nota parabola del figliol prodigo, spesso fraintesa dai più. Egli, in realtà, che chiede al padre la sua parte di patrimonio e lascia la casa paterna per godersi la vita, ha avuto il coraggio di provare, di essere sé stesso, di ascoltare il suo sentire. Una volta provata quella strada, una volta sperperato quanto ricevuto dal padre, si è reso conto di come stava bene dov’era prima, con la triste consapevolezza che, finito il denaro, veniva trattato peggio dell’ultimo degli schiavi del padre. Ed è molto importante notare quello che ha fatto subito dopo aver compreso tutto ciò: è tornato a casa. Non si è macerato nel dolore, non è caduto in depressione, non ha fatto finta che tutto andasse bene, non è scappato lontano per la vergogna. Semplicemente ritorna. Con senso di colpa, col capo chino, ma ritorna.
Come volete che un padre non faccia festa per questo figlio? Un figlio che ha avuto coraggio di ascoltarsi, di provare e di tornare con umiltà? Certo, qualcuno potrebbe dire “per interesse”. Ma qual è, o dovrebbe essere, il nostro maggiore interesse su questa Terra?
Essere noi stessi fino in fondo per essere felici. Questo comporta osare, sbagliare, e ritornare a riprovare. Una, dieci, mille volte. Come Thomas Edison con i suoi mille tentativi per ottenere la lampadina: se si fosse fermato al centesimo tentativo, ora forse leggeremmo a lume di candela.

Questa parabola insegna molto altro, tra cui l’importanza di “amarsi”: è un argomento in gran voga, senza che peraltro venga spiegato come metterlo in pratica. Vediamolo con un esempio: se un bambino nasce in una famiglia in cui viene picchiato, umiliato o comunque trattato male, sapete cosa fa? Ama i suoi genitori ugualmente. Ama incondizionatamente. Ama “anche se”. Quindi “amare sé stessi” significa amarsi con gli occhi di un bambino, amarsi “anche se”.
Mi amo “anche se” sono brutto, grasso, vecchio, irascibile, intrattabile, scontroso, arrogante, piagnucoloso, sensibile, timido, sterile, solo. Perché ho il diritto di esserlo! E, quando qualcuno mi dice “non puoi essere così, con quello che hai nella tua vita”, mi concedo comunque il diritto di esserlo, perché mi amo anche se”.
Se siamo in grado di amarci così come siamo (con tutti i nostri presunti difetti), siamo in grado di amare il prossimo con tutti i suoi presunti difetti: se ho imparato ad amarmi “anche se”, riesco ad amare gli altri “anche se”. E, quindi, diventiamo automaticamente più tolleranti, pazienti, più amorevoli.
Se mi permetto di essere mè stesso e di vivere le mie emozioni (soprattutto quelle “negative”), prendo contatto con esse (rabbia/depressione/paura/odio/invidia, ecc.) e inizio a chiedermi: “perché vivo questa emozione negativa?”
La Metamedicina considera un’emozione tale come un campanello d’allarme che segnala una ferita, un dolore non risolto che, per essere curato, deve per prima cosa essere scoperto. Ma se applichiamo l’arte di mostrarci al mondo dietro una facciata di convenienza, forse sarà più difficile ammetterlo.

Ricordo di una donna che esprimeva parole di biasimo verso la madre: nel momento stesso in cui gliel’è stato fatto notare, lei ha sorriso forzatamente dicendo “Ma no, povera, ha fatto tanto per me”. La rabbia era uscita per poi essere nuovamente sepolta. In questo modo non ce ne libereremo mai. Ma che vita è questa, vivere “di facciata” mentre dentro siamo incazzati neri? E ci sono persone che nemmeno vogliono ammettere a sé stessi di essere arrabbiati/delusi/frustrati e in realtà stanno anche peggio, perché si sentono male ma non ne comprendono il motivo. E poi ci lamentiamo che tutto va storto, non abbiamo denaro, nessuno ci ama o abbiamo sempre un problema dopo l’altro.

Il mondo in cui viviamo ha il sacro terrore delle emozioni, tanto che esistono molteplici tecniche per tenerle sotto controllo senza comprendere che, essendo fluide come l’acqua, sono spesso ingestibili: basti pensare a quante volte vi siete ripromessi di non arrabbiarvi, mettervi a dieta, smettere di fumare. Non è la mente che comanda, sono le emozioni che a lungo andare lo fanno, soprattutto quelle represse. Per questo è essenziale scoprire il mondo di emozioni che vive dentro di noi: nasconderlo non serve a nulla, tranne che a peggiorare la situazione. Un deposito pieno di emozioni inespresse prima o poi esplode, all’esterno oppure all’interno, sul corpo fisico.

La Metamedicina insegna a prendere coscienza dell’emozione “negativa”, aiutando ad esprimerla efficacemente e a scoprire quando è nata. Infine, parte più importante, aiuta a perdonare completamente la persona che ha innescato tutto questo, la persona che ci ha ferito. Fatto ciò, l’emozione “negativa” (il campanello d’allarme) improvvisamente sparisce; questo perché non ha più motivo di esistere, in quanto la ferita è stata sanata.
Ma attenzione: perdonare non è lo stesso di scusare. Tutti sanno scusare, perdonare è completamente diverso. E’ una questione di testa, perché ci ho ragionato su: “so quanto la mamma ha fatto per me, che vita ha passato.. poverina, la capisco”. E’ un processo mentale: ma le ferite risiedono nel cuore, non nella testa, dov’è presente solo la memoria. Perdonare invece è per sempre, scusare dura quel poco che dura, in quanto l’emozione negativa poi ritorna.

Un altro grande insegnamento della parabola del figliol prodigo è: “vengo amato comunque”. Anche se abbiamo commesso le colpe peggiori del mondo, l’Universo, Dio, ci perdonerà sempre, perché ci ama così tanto da permetterci di sbagliare. Spesso ci dimentichiamo che siamo qui, su questa Terra, per imparare: è l’esperienza dello sbaglio che ci apre gli occhi e che ci permette di imparare.

Il pesce non sa quanto è bello vivere nel mare finché non commette lo sbaglio di perderlo. Noi stessi non sappiamo quante cose abbiamo nella nostra vita finché non le perdiamo.
Ma se non vogliamo capire e ci ostiniamo a tenere cuore ed occhi chiusi, non potremo ritornare nel mare e rimarremo sulla spiaggia rovente a patire: non a caso le persone più “difficili” sono quelle che dentro hanno i dolori più roventi. Chissà da quanto tempo sono lì, su quella spiaggia bollente..
Ricordo un uomo, piuttosto giovane, che si lamentava sempre senza cercare da nessuna parte un aiuto per il suo malessere. Diceva che la sua vita era un fallimento, il rapporto con la moglie uno dei peggiori, il lavoro andava male. Poi l’uomo si ammalò e perse l’uso delle gambe. Poco tempo dopo, la moglie, forse stanca dei suoi rimproveri, lo lasciò. Improvvisamente assistetti ad un cambiamento incredibile: com’era bella la vita prima, com’era stata dolce sua moglie, com’era bello poter lavorare. Perché dobbiamo perdere qualcosa prima di renderci conto di quanto sia importante per noi?

Forse perché siamo così addormentati da credere che non ci sia altro modo di vivere. O semplicemente perché dobbiamo attaversare la spiaggia rovente per ricordare l’abbraccio amorevole del mare. Per questo motivo le occasioni di fallimento della nostra vita vanno prese al volo, perché ci danno la spinta necessaria a risvegliarci e cambiare il modo di vivere. Separazioni, cambi di lavoro, litigi dolorosi, abbandoni, lutti, malattie; sono tutte occasioni. Per risvegliarsi, perché vogliamo, come il pesce, ri-tornare nel mare. Recriminare ci fa restare bloccati sulla spiaggia a soffrire.

Quindi per ri-svegliarsi è necessario per prima cosa rendersi conto che non stiamo bene. Subito dopo è importante amarsi “anche se“ non siamo perfetti. E’ fondamentale permettersi di essere come si è: abbiamo tutti il diritto di essere come siamo, per quello che abbiamo vissuto, per il dolore che abbiamo passato. Il figliol prodigo, quando ha visto il baratro in cui era finito, ha continuato ad amarsi così com’era. Non ha pensato “non valgo nulla, non ho il diritto di tornare a casa”.

Il passo successivo è chiedersi “perché vivo questa emozione?”. E qui le risposte possono essere infinite: perché papà non mi ha voluto, perché sono sempre secondo in tutto, perché mi sento rifiutato, perché nessuno mi ama, perché per mia madre non esisto, perché era meglio se non nascevo, ecc.
Una volta trovata l’emozione che si nasconde sotto il nostro dolore, fermiamoci e ricordiamoci quando l’abbiamo provata la prima volta nella vita. E facciamo come il figliol prodigo: torniamo indietro. Chiudiamo gli occhi ed immaginiamo di tornare indietro in quella situazione dolorosa, e di prenderci cura di noi stessi come nessuno lo ha mai fatto, come un padre o una madre amorevole che abbraccia e spiega che la persona che ci ha ferito non ha potuto fare altrimenti: anche lui ha il suo vissuto doloroso, le sue ferite, che forse sono le stesse nostre. Facciamo come il padre del figliol prodigo che, quando vede il figlio ritornare a casa, gli corre incontro e lo abbraccia; nonostante abbia fatto una scelta opposta a quella desiderata, lo ama “anche se”.

I bambini nascono innocenti ma con gli anni e i dolori della vita perdono quest’innocenza, accumulando ferite e condizionamenti. Tutti noi abbiamo perso la nostra innocenza, la meravigliosa capacità di guardare il mondo (nel bene e nel male) con occhi di bambino, che ama “anche se”. Questo è un approccio spirituale alla vita, perché ci permette di vedere il diamante nel nostro prossimo, “anche se” odioso, arrabbiato, cattivo, impietoso.
Amo il mondo, amo mè stesso, amo il mio prossimo qualunque esso sia e non vedo il fango che lo ricopre. Non c’è giudizio, perché ho capito. Ho compreso che anche lui ha un dolore, alla pari di tutti gli altri e il suo comportamento è il migliore che sa mettere in atto per soffrire meno su quella spiaggia rovente. E, se non giudico, improvvisamente cambio frequenza e mille strade si aprono innanzi a me. Non giudichiamo per non essere giudicati.

Tutti hanno perduto la loro innocenza ma troppo pochi l’hanno ritrovata, si sono cioè resi conto di essere sulla spiaggia e si sono dati da fare per tornare nel mare. Osho dice “Gesù non è altro che Adamo che torna a casa”, che torna dal padre. Ma non occorre essere Gesù per tornare nel mare, non ci viene chiesto questo. Ci viene chiesto solo di essere Adamo, con le sue imperfezioni. E questo possiamo farlo. Il regno dei cieli, cioè la felicità, è accessibile a chi vede il mondo con gli occhi di un bambino.
Infine: cosa sarebbe successo se il figliol prodigo non avesse mai scelto di andarsene? Possiamo solo ipotizzare, ma forse la sua vita sarebbe stata pesante e, giorno dopo giorno, avrebbe sognato altri posti, altre città e, forse, avrebbe finito per odiare quello che aveva.


Articolo apparso su Bioguida – primavera 2014

Pubblicato da Susanna

Naturopata, Consulente ed animatrice di Metamedicina, aromatologa, floriterapeuta, numerologa, scrittrice.

4 Risposte a “Tempo di risveglio spirituale (e Metamedicina)”

  1. Ciao Susanna! Bellissimo questo articolo e pure verissimo. Amare nostri amici è facile, amare i nostri nemici è possibile e l’unica via per vivere serenamente.
    Un’abbraccio Claudia!

    1. Cara Claudia, grazie per le belle parole. Infatti non bisogna mai dimenticare che la più grande forza del mondo è l’Amore. Ma per scoprire il diamante che c’è in noi e che conduce all’Amore, dobbiamo per forza lavorare con il fango che lo ricopre e quindi sporcarci le mani… Un abbraccio 🙂

  2. Ho scoperto la metamedicina da poco questa scuola della felicita ! Adesso devo solo applicarla su me stessa visto che soffro di dorsalgia spero di farcela un bacio

    1. Cara Ketty, certo che puoi farcela, ma se dai l’ordine al tuo subconscio che “speri” di farcela, non è un comando chiaro. Piuttosto dì a te stessa che VUOI farcela. La frase che Clauda ci insegna è “Non so come, non so quando, ma so che ce la farò”. Un abbraccio grande.

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